Sul cucuzzolo della montagna...

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    Che freddo.
    Questo è il pensiero con cui mi risveglio. Per un attimo mi domando se faccia parte di un sogno un po' troppo vivido. Eppure no, il freddo è reale, ed è talmente pungente da svegliarmi. Strano. In genere a Palazzo non c'è mai questo freddo, nemmeno ad inverno inoltrato.
    Una forte ventata si abbatte su di me, scompigliandomi i capelli e gelandomi fino alle ossa. Apro gli occhi, turbata, e realizzo di non essere affatto nelle calde stanze del Castello, bensì di essere in piena montagna.
    Mi metto a sedere, infreddolita e scioccata al tempo stesso. Come sono finita qui? mi domando, strofinandomi le braccia per scaldarmi. Indosso uno dei miei vestiti invernali, che tuttavia non è ancora sufficiente a tenermi adeguatamente calda in quel luogo. Mi guardo intorno, confusa: non c'è traccia del mio Eric, della mia Melody, di Carlotta o di Grimsby.

    Attorno a me vedo distese innevate, alberi di cui non conosco il nome pieni di neve fino alla cima, grandi montagne ad incorniciare il paesaggio in lontananza. Capisco di trovarmi anche io su una cima montuosa - forse non proprio sulla cima più alta, ma comunque abbastanza in alto. Mi accorgo di essere seduta su uno dei miei mantelli bordati di pelliccia, che mi affretto ad indossare, trovando finalmente sollievo e calore.

    Riesco a mettere a fuoco gli ultimi ricordi che ho prima del sonno: ci preparavamo ad una gita in montagna, il che spiega il mio abbigliamento. Ma non spiega perchè io mi ritrovi su un cucuzzolo innevato, sola, sperduta, con la mente un po' confusa. La nostra gita prevedeva un comodo soggiorno in uno chalet (per questo i miei abiti sono sì pesanti ma anche molto eleganti), non un'escursione nella neve.
    Sembrerebbe quasi...
    Un incantesimo, penso, aggrottando le sopracciglia e mettendomi in piedi con cautela. Mi avvicino al bordo dello spuntone su cui mi trovo, e vedo una specie di sentiero che scende agilmente a valle.

    Non ha senso restare qui, dico a me stessa, La cosa migliore da fare è incamminarmi e cominciare la discesa. Quantomeno scendendo a valle dovrebbe esserci meno freddo. E durante il tragitto potrei incontrare qualcuno, o un rifugio. Se resto qui invece diventerò un grazioso ghiacciolo di mare.
    Fortunatamente non nevica, e lo strato di neve al suolo è piuttosto sottile, sicchè non ho grossi problemi - nonostante le mie scarpine non siano affatto adatte a quel terreno.
    Comincio quindi la mia discesa, stando attenta a dove metto i piedi, per non scivolare; il sentiero è comunque ampio e non c'è pericolo di ruzzolare giù nel dirupo. Cammino, cammino, cammino per quelle che sembrano ore. Finalmente giungo in un altopiano sottostante, dove fa appena meno freddo e il terreno è più soffice. Trovo una piccola radura protetta da alcune rocce, con meno neve rispetto alla zona da cui sono scesa. Decido di sedermi e riprendere fiato. Non ho ancora incontrato anima viva, purtroppo, e comincio ad essere preoccupata.


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    Brrr, che freddo! Mi stringo nelle spalle girandomi sul lato sinistro e contraendo le ginocchia al petto fino ad assumere la classica posizione fetale. Tuttavia l'alito glaciale non cessa di spirare nella mia direzione. Per un istante mi chiedo se questa sensazione sia parte del mio sogno o se, piuttosto, dipenda dalla finestra socchiusa che dà sul balconcino della mia camera da letto. E' abitudine di Adam, quando non riesce a prendere sonno, sporgersi sul parapetto a rimirare quei puntini luminosi sparpagliati in cielo. Eppure so bene che evita di uscire in vestaglia da camera quando fuori si riversa una tale bufera. Pur restando in bilico tra il dolce mondo dei sogni e la realtà, allungo un braccio lì dove sapevo avrei trovato il materasso affossato, ma le mie dita accarezzano un'umida sterpaglia.
    Adam? Spalanco gli occhi e, come risposta al mio pensiero, una nuova, pungente folata di vento giunge da dietro a scompigliarmi i capelli scoprendomi la nuca. Sempre più attonita mi metto a sedere osservando confusa e spaventata il luogo in cui mi sono risvegliata. Non può essere reale!, penso strofinandomi le braccia per riscaldarmi.
    «Adam? Lumière? Tockin...» La voce mi si spezza all'ennesima raffica che mi colpisce portandomi ad accovacciarmi su me stessa.
    Non appena il soffio glaciale si placa, trovo la forza di alzarmi e guardarmi intorno: distese innevate si scorgono a perdita d'occhio oltre una fila di abeti quasi interamente coperti di neve. Qualche sprazzo di colore bianco è depositato anche sull'erbetta ingiallita non poco distante dal punto in cui mi trovo.
    Scioccata e incredula muovo qualche passo in avanti per evitare di ritrovarmi presto bloccata in una lastra di ghiaccio, mentre nel frattempo provo a riattivare il cervello nella mera speranza di capire come sia finita in questo posto. Un incantesimo della fata? No, non mi risulta che Adam abbia fatto qualcosa per cui vada nuovamente punito. Più tento di trovare un nesso al mio problema, più questo sembra sia lontano mille miglia dalla risoluzione. Ma allora se non è di un incantesimo che si tratta, cos'altro poteva avermi catapultato qui?
    In men che non si dica i miei piedi mi conducono nei pressi di un altopiano sottostante dove non gela come su quelle alture, ma per non rischiare continuo a camminare tutta contratta e intorpidita. Il tratto scosceso che ho dovuto praticare mi ha portato ad incespicare due o tre volte, dal momento che le mie ballerine andavano slittando ovunque mettessi i piedi.
    Strano che abbia ai piedi le mie scarpine nere, quando il mio ultimo ricordo è di me che dormivo di fianco al mio principe?!, osservo stranita sia le mie scarpe che il mio abituale abitino azzurro. Ma nel tragitto mi si para davanti un'altra stranezza: una ragazza dai fluenti capelli rossi attende infreddolita seduta su di una roccia. Chiudo gli occhi, li riapro, mi tiro un pizzicotto, ma la fanciulla resta impalata lì dove mi si era manifestata.
    Forse, ci siamo! «Permettimi, cara, conosci un posticino in cui potermi riparare? Ho smarrito la via di casa e al momento necessito di un pasto caldo e un letto prima di rimettermi in viaggio.» Viaggio? Ma se non so nemmeno come tornare al mio castello.

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    Mentre penso al da farsi, seduta su una roccia fredda e non troppo comoda, appare una ragazza dall'aria un po' confusa. Se fossimo nel deserto direi che mi ha presa per un miraggio, ma siamo in montagna... A meno che esistano anche i miraggi di montagna? Dovrò chiedere delucidazioni al mio rientro. Se riuscirò a tornare, mi ritrovo a pensare mio malgrado.

    La fanciulla è vestita in modo un po' troppo leggero per quel territorio, con scarpe basse che mal la proteggono dal freddo e dal ghiaccio. Ha un bel viso e un'espressione gentile, grandi occhi color nocciola, molto dolci, e capelli lunghi e morbidi, scuri, legati con un nastrino. Mi ispira immediatamente fiducia, e devo ammettere che è bello vedere un volto amichevole in una situazione tanto incerta.

    La giovane si avvicina e, con modi eleganti ed educati, mi chiede se conosco un posto dove possa ripararsi, consumare un pasto caldo e riposare. Scuoto la testa, sconsolata.
    «Mi dispiace, purtroppo non conosco alcun rifugio in zona. In effetti non conosco affatto questo luogo». Faccio una pausa, incerta su come proseguire. Dire che mi sono svegliata in mezzo alla neve, stordita e senza sapere come sia finita lì non mi sembra una buona idea, potrei passare per matta. Decido di rimanere sul vago, e ne approfitto per fare qualche domanda alla ragazza, visto che è in viaggio forse sa dove ci troviamo. Magari potremmo cercare un rifugio insieme...

    «Temo proprio di essermi persa, purtroppo, e sto cercando un riparo sicuro anche io», proseguo. «A proposito, tu sapresti dirmi dove ci troviamo? O ti sei smarrita anche tu?» le domando. «Se restiamo qui temo congeleremo, ti va se cerchiamo un riparo insieme?» le chiedo infine, esitante.

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    Sfortunatamente la fanciulla dalla chioma rosso fuoco è soltanto una malcapitata come me e, a giudicare dalle sue parole, non soltanto ammette di non conoscere il posto, ma anche di essersi persa. Socchiudo le palpebre rigettando fuori dalle narici l'aria gelida inspirata, cercando a tutti i costi di non perdermi d'animo.
    Che strano!, penso arcuando le sopracciglia in fase metodica. Di certo è assai curioso che anche questa ragazza si ritrovi esattamente nella mia stessa situazione. Non può essere una coincidenza. Il caso non esiste. Continuo a riflettere scrutandola da quel mezzo metro che ci divide. Il suo vestiario è sicuramente più imbottito del mio, ma ai piedi calza delle deliziose scarpine non proprio adatte per una passeggiata in montagna. Ciò che dice in seguito mi rincuora e mi fa desiderare di esserle amica senza sapere nulla di lei.
    «E' molto gentile da parte tua, accetto di buon grado la proposta!» esclamo sorridendole. Un sorriso che deve somigliare più ad una smorfia che a qualcosa di aggraziato, ma purtroppo il freddo mi sta atrofizzando ossa e muscoli e non posso far di meglio.
    «Lascia che mi presenti: il mio nome è Belle» le rivelo porgendole una mano morta e ghiacciata. «Ti sembrerò indiscreta, ma come ci sei arrivata fin qui?» chiedo abbozzando un nuovo sorriso.
    Ho bisogno di andare a fondo a questa assurda storia!

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    Con mia grande gioia ed anche un pizzico di sorpresa, la dolce fanciulla accetta la mia proposta di cercare un rifugio sicuro insieme. Si presenta, il suo nome è Belle, e mi chiede con discrezione come io sia finita lì. Prima che possa risponderle e presentarmi a mia volta, lei tende delicatamente una mano per stringere la mia; appena la tocco però sento che è sulla buona strada per il congelamento, e sobbalzo.

    «Per tutte le maree, stai gelando!» esclamo sorpresa e preoccupata. Afferro un lembo del mio mantello, ampissimo, e le copro alla meglio le spalle. «Va meglio così, vero?» le chiedo, sperando che tragga un po' di sollievo dalla calda stoffa bordata di pelliccia. «Ad ogni modo, il mio nome è Ariel, sono lieta di fare la tua conoscenza», aggiungo, sorridendole debolmente, i muscoli facciali intorpiditi per il freddo a cui non sono molto abituata.

    «Per quanto riguarda la tua domanda, la risposta è... Non lo so», confesso a bassa voce. «Non ho alcun ricordo che possa giustificare la mia presenza qui. Semplicemente, mi sono svegliata su quel picco lassù», le spiego, indicando con un cenno delicato della mano la zona in cui mi trovavo poco prima, «ed invece di essere nelle calde stanze del Castello, mi sono ritrovata qui, al freddo, totalmente sola», concludo.

    «E tu? Ti sei smarrita? Non sei per nulla abbigliata adeguatamente per la montagna», le dico, sistemandole la sua parte di mantello con fare protettivo.


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    Qui lontano dal picco innevato dove mi sono risvegliata, il freddo è decisamente meno pungente, ma non per questo il mio vestitino di cotone sia da definirsi adatto alle temperature invernali del luogo. Ora che ci penso nel mio paesino la neve avrebbe imbiancato le mura e i tetti del mio castello e le vie del villaggio tra i periodi di Dicembre e Gennaio col sopraggiungere della nuova stagione, mentre qui in alta montagna gela per buona parte dell'anno. Mi stringo nelle spalle battendo i denti, mentre il mio respiro acquista la forma di piccole nubi di fumo addensato.
    La rubiconda ragazza dagli occhi color del mare, sembra essersi accorta del mio continuo fremere dal momento che si è offerta di avvolgermi al caldo nella sua ampia mantella.
    «Ti ringrazio» rispondo candidamente al gesto provando un inmediato sollievo. Intanto lei si appresta a rivelarmi il suo nome: Ariel. Quale nome grazioso per una fanciulla altrettanto graziosa! Via via discorrendo vengo a conoscenza che anche lei non ha memoria di come e quando sia finita qui e, per di più, nomina un "castello".
    «Sei anche tu una principessa?» le chiedo accigliata ripensando a quanto calde e accoglienti siano le mura del mio. Senza nascondere una velata nostalgia.
    Che tristezza, speravo potesse essermi d'aiuto!, penso amareggiata e insoddisfatta. A quest'ora Adam avrà messo voce in giro della mia scomparsa e tutti impensieriti si staranno dando da fare per ritrovarmi. Già immagino un mucchio volantini sparsi a tappezzare ogni angolo del paese, persino i boschi e le zone confinanti al regno.
    E papà? Il volto paffuto e tenero dell'uomo che mi aveva cresciuta con tanto amore si palesa all'istante. Sicuramente Mrs. Bric e Lumière gli staranno dando tutto il conforto di cui ha bisogno per non cadere in depressione o, peggio, in malattia.
    La due domande successive mi riportano alla realtà. «E' così. Mi sono addormentata di fianco al mio principe, come ogni notte, per ritrovarmi sulla cima di una montagna intirrizzita dal gelo e senza sapere come ci sia arrivata.»

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    Edited by ciörcia. - 2/12/2014, 12:22
     
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    Belle accoglie con evidente sollievo il lembo ampio di mantello, evidentemente stava gelando sul serio ma faceva del suo meglio per darsi un contegno e non darlo a vedere troppo.
    Ad un tratto mi domanda a bruciapelo se sono anche io una principessa.

    «Sì, sono una principessa», le rispondo, guardandola sorpresa. Il fatto che abbia detto "anche" lascia intendere che lei sia una principessa a sua volta. Che coincidenza!, penso entusiasta. Avevo già incontrato principesse e regnanti umani al Castello di Eric, in occasioni di balli e feste ma... Nessuna di loro era tanto dolce ed incantevole quanto Belle!

    Belle nel frattempo mi racconta di come sia finita lì e resto a bocca aperta: anche lei si è risvegliata qui in montagna, completamente sola e senza sapere come sia arrivata lassù.
    «Certo che è strano! In pratica siamo finite qui allo stesso modo. Strana coincidenza, non trovi?», le chiedo, sinceramente sbalordita. Mi aspettavo tante risposte ma di certo non quella.

    La mia compagna di avventura nel frattempo assume un'aria pensieriosa, a tratti triste. Evidentemente starà pensando ai suoi cari che la attendono a casa, preoccupati. Pensiero che affligge pure me.
    Chissà come sarà preoccupato Eric! Sono sicura che avrà già fatto partire le ricerche a terra e, ovviamente, avrà anche allertato mio padre che invece avrà organizzato le ricerche in mare. E la mia piccola Melody!, il pensiero di mia figlia da sola è una vera pugnalata al cuore, mi toglie il fiato. Speriamo che almeno loro stiano bene, penso poi. Se, come penso, sia io che Belle siamo vittime dello stesso maleficio, ciò significa che potrebbero essere coinvolti anche loro! Questo pensiero è ancora peggio del precedente, ma devo essere analitica e, soprattutto, devo mantenere la calma.

    «Cara Belle, che ne dici se ci incamminiamo? Il sentiero prosegue e scende ancora più giù, verso valle. Lì dovrebbe fare freddo 'normale' e dovrebbero esserci più probabilità di trovare un rifugio, come uno chalet o una capanna», propongo, indicandole con un gesto elegante della mano la direzione che prende il sentiero, dal lato opposto della radura.

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    Ariel non si fa scrupoli nel dichiarare apertamente il suo titolo regale. Un lampo di luce le attraversa fulmineo le iridi azzurre mentre si appresta a rispondere alla mia domanda. Deve aver dedotto dalle mie parole che l'elevato grado di principessa accomuna entrambe, sebbene nel mio caso lo sia diventata sposando Adam. Ma questo dettaglio decido di tenerlo per me, non trovandolo di fondamentale importanza per la nostra conversazione. Piuttosto sono le sue successive riflessioni che mi danno da pensare e parecchio pure. In verità è stato nell'esatto momento in cui abbiamo iniziato a conversare, che ho avuto la strana sensazione di essere finite qui per un motivo a noi sconosciuto. O magari è solo una pura casualità che due giovani principesse si siano d'un tratto risvegliate sul pendio di una montagna di un posto non proprio familiare.
    Sicuramente, ci metto la mano sul fuoco, questa non è Chamonix!, rifletto esaminando per benino anche il particolare più scontato agli occhi di un turista. Turista? Ora che ci penso nemmeno qui in altopiano vi sono tracce d'umana presenza.
    Non di rado, sotto le festività natalizie, io e Adam ci concediamo una settimana di meritato riposo e intimità a Chamonix. Quindi credo di aver imparato a distinguere il posto. E questo passo montano non è Chamonix. L'unica soluzione sarebbe quella di mandare un piccione viaggiatore che informi a Castello circa il mio stato di salute attuale e la meta, ma qui non v'è nemmeno una baita o delle indicazioni precise da poter fornire nella lettera.
    Fortuna mia che Ariel sembra saper tenere a freno i propri pensieri, riuscendo a tenere lucida la mente già abbastanza intorpidita dal freddo. Suggerisce di proseguire il cammino scendendo fino a valle nella speranza di trovare presto riparo.
    «Mi sembra la soluzione migliore per non rischiare di morire assiderati nel vano tentativo di spremerci le meningi» concordo infilando un braccio rigido sotto il suo per compiere la discesa aggrappata ad una base solida.

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    Belle concorda che sia la cosa migliore da fare, altrimenti rischieremmo di congelare. Quindi passa delicatamente il braccio sotto al mio, mettendosi a braccetto. Non avevo osato farlo poco prima, nel timore che lo percepisse come un gesto invadente, ma vedendola avvicinarsi spontaneamente mi rilasso. Stando a braccetto posso coprirla meglio col mantello: adesso, così avvolte, sembriamo una buffa creatura con quattro piedi e due teste.

    Ci incamminiamo quindi lungo il sentiero che prosegue, scendendo verso valle. Non sempre la discesa è agevole: le rocce sono spesso coperte di ghiaccio, il terreno è freddo ed umido, con neve ancora fresca sparsa ovunque.
    Povera Belle, a quest'ora le si staranno congelando i piedini, penso. Dobbiamo trovare al più presto un posticino al caldo.

    Non so da quanto tempo stiamo camminando, di certo però cominciano a farmi un po' male i piedi ed i muscoli delle gambe. Almeno non fa freddo come in cima, anche se il mantello è ancora necessario.
    Finalmente, un po' più giù, intravedo un filo di fumo: dove c'è fumo c'è fuoco, e dove c'è fuoco o c'è un incendio o -più probabilmente- una capanna.

    «Belle guarda», dico, stringenole appena il braccio per richiamare la sua attenzione. «Laggiù c'è del fumo! Forse c'è uno chalet o una casa di montagna. Si trova sul sentiero, potremmo dare un'occhiata... Che ne pensi?», le chiedo, indicando appena con la mano libera il punto in cui ho localizzato la striscia di fumo.


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    Forse sono stata troppo indiscreta nel cercare ed usare il suo braccio come base d'appoggio, visto e considerato che la conosco a malapena. La franchezza è un aspetto delle mie umili origini che neanche volendo potrei mai eliminare. Da sempre abituata a non seguire un protocollo comportamentale, ho finito per abituarmi alla semplicità della classica ragazzotta di paese pur non trovandomi a mio agio con i miei simili. I miei modi socievoli di rapportarmi col prossimo che usavo da bambina si sono con l'adolescenza del tutto azzerati. Se proprio dovevo mostrare affetto verso qualcuno, quello era mio padre. Per il resto avevo imparato a rifuggire da una realtà scomoda sognando e auspicando un futuro migliore attraverso ciò che i libri avevano da offrirmi. Fortunatamente incontrando Adam e i suoi adorabili inservienti, ho avuto modo di trasformare la mia monotona vita in una quotidiana avventura.
    Dopotutto anche questa è un'avventura!, mi sorprendo a pensare restando aggrappata alla dolce Ariel nella discesa che non è poi così ripida come la precedente che mi ha condotta qui. Eppure le rocce che incontriamo nel sentiero fanno di tutto per rendere impraticabile il nostro percorso. Senza contare che per tanto camminare sulla terra umida, ho perso la sensibilità ai piedi; sento solo dei monconi al loro posto.
    Finalmente la discesa può dirsi conclusa: siamo in pianura e in lontananza v'è del fumo che nell'uscire dalla ciminiera si mescola alle nubi in cielo provando ad imitarne le forme. Il cielo è grigio ed è quasi impossibile definire con assoluta certezza in quale fase della giornata siamo.
    In concomitanza con quell'immagine all'orizzonte, Ariel suggerisce di avvicinarci per dare un'occhiata al casolare da dove proviene quel fumo. Provo ad aprir bocca per risponderle, ma nessun suono abbandona la mia gola riarsa. Dunque mi limito ad asserire piegando di poco il capo anch'esso irrigidito dalle temperature sotto zero.
    Mi sto tramutando in una statua di ghiaccio!, penso strizzando forte le palpebre per cacciare lacrime invisibili.

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    Ho la vaga impressione che Belle sia sulla buona strada per il congelamento, a giudicare dal fatto che la sento sempre più rigida e non parla granchè. Fortunatamente riusciamo a raggiungere la piccola costruzione che avevamo notato poco prima grazie alla flebile striscia di fumo che esce dalla canna fumaria.
    Noto con sollievo che è un -comesichiama?- ah sì: un bivacco. Una sorta di rifugio incustodito, dove eventuali scalatori di passaggio possono fermarsi, riposare e rimettersi in forze in caso di bisogno.

    Fortuna che Eric mi ha spiegato un po' di cose sulla montagna prima di partire, penso con una fitta intensa di nostalgia allo stomaco.

    Percorro gli ultimi metri sostenendo Belle con entrambe le braccia, per aiutarla a camminare coi suoi poveri piedini gelati. Apro la porta e noto che il locale è vuoto, con un piccolo fuocherello che va spegnendosi nel camino. Evidentemente fino a poco fa dovevano esserci degli escursionisti, o qualche altra persona sperduta, chissà, che si sono dimenticati il fuoco acceso. Normalmente l'avrei considerata una cosa pericolosa, ma adesso la considero una gran fortuna: non sono capace ad accendere un fuoco purtroppo.

    «Coraggio Belle, siamo arrivate, adesso ti scalderai in un baleno». La aiuto a sedersi su una delle sedie accanto al camino, avvolgendola del tutto nel mio mantello. Fortunatamente c'è ancora un po' di legna da ardere disposta in una cesta poco distante, sicchè non devo uscire a cercarne altra. Butto un paio di ciocchi di legno sul fuoco morente e, dopo pochi minuti, una nuova fiamma si fa strada, cominciando a riscaldare sia noi che il rifugio.

    Tendo i palmi in avanti per riscaldarmi le mani, per poi chiedere a Belle, seduta accanto a me: «Come va? Ti senti meglio? Vedrai che ti riscalderai in un battibaleno», la incoraggio, sfregandole le spalle per riscaldarla ulteriormente. Nel frattempo vago con lo sguardo e noto una piccola dispensa in fondo: Chissà se troveremo qualcosa da mangiare?

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    Nel minor tempo possibile - anche se dalla mia posizione, persino i secondi sembrano rasentare l'infinito - approdiamo in un bivacco. In lontananza mi era parso più simile ad una locanda per turisti e ristoratori, invece è un vero e proprio rifugio per escursionisti.
    Con una spinta Ariel apre la porta e mi aiuta ad introdurmi all'interno. Se non ero del tutto ridotta ad una statua di ghiaccio, ci sono andata vicina. Nell'ultimo tratto di strada i miei piedi congelati hanno iniziato ad irrigidirsi tanto che, se non venivo trascinata di peso fin dentro il locale, non vi sarebbe stato modo di proseguire assieme il nostro cammino.
    A giudicare dalla tenue fiamma che danza debolmente nel camino, qualcuno prima di noi doveva aver approfittato del posto per rimettersi in forze e aspirare al tepore del fuoco.
    La principessina dalla fluente chioma rossiccia mi aiuta ad accomodarmi su di una seggiola in legno scheggiato, sistemandomi la sua mantella su ambedue le spalle. Non esita un istante per affaccendarsi con quel poco di legna a nostra disposizione. Ne butta un paio sul fuocherello e con un bastoncino alimenta le fiamme finché non riprendono il loro originario vigore.
    Non appena l'ambiente inizia a riscaldarsi mi chiede se stia un po' meglio.
    «Sì, grazie. Ma sto morendo di fame» confesso udendo il mio stomaco brontolare spaventosamente. Non è affatto un caso che sia diventata la moglie di un uomo che in passato era stato una bestia. Quella considerazione mi fa sorridere, ma mi porta, in un secondo momento, ad incassare l'ennesimo colpo di chi ha nostalgia della persona amata.
    In risposta alle mie parole Ariel punta con lo sguardo una piccola dispensa in fondo alla stanza. Oh, giusto cielo, fa' che vi sia del cibo!

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    La mia infreddolita compagna di viaggio trae immediato beneficio dal calore emanato dal fuoco, che adesso è ben vivace e fa una bella luce.

    Belle dice di stare morendo di fame - affermazione accompagnata con borbottio sonoro ed involontario dello stomaco, perciò mi dirigo verso la piccola dispensa che ho notato poco prima. Speriamo che ci sia del cibo, altrimenti siamo nei guai, penso nervosamente. Ci troviamo ancora in un luogo abbastanza sperduto ed impervio, ed è impensabile sperare di sopravvivere senza un minimo di vettovaglie.

    Apro la porta della dispensa con mano leggermente tremante e guardo dentro. Con mio sollievo noto che non è vuota, anche se non si può nemmeno dire che sia straripante. Trovo, tra le altre cose, il necessario per preparare una zuppa, nulla di elaborato ma meglio di niente.

    «Resisti Belle, ti preparo subito qualcosa», le dico, tirando fuori quelle poche verdure che ho trovato nella dispensa. Chissà chi le ha portate fin quassù, penso sistemandole su un basso tavolino davanti al fuoco. Trovo una pentola ed esco a riempirla con della neve e poi la metto sul fuoco, in modo che sciogliendosi diventi acqua. Mentre aspetto che ciò avvenga, trovo un coltello e mi siedo ai piedi di Belle a pelare patate. Così posso tenere d'occhio sia la pentola che la mia nuova amica, che ha ancora qualche brivido occasionale. Per attenuarle la fame, le porgo alcune gallette che ho trovato in dispensa.

    «Fortuna che la dispensa non era vuota, altrimenti ce la saremmo vista brutta», le dico. «Ad occhio siamo ancora abbastanza in alto e non ci sono villaggi in vista. Queste provviste dovrebbero essere sufficienti per un po'». Dopo un po' mi viene in mente una cosa, ed alzo lo sguardo dalla patata che stavo pelando. «Dici che potrebbe esserci una mappa qui dentro, da qualche parte?», chiedo guardandomi intorno. Una mappa ci aiuterebbe a capire quanto dista il più vicino villaggio, e ci potremmo organizzare di conseguenza, pianificando il percorso.

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    Speravo che il borbottio imbarazzante emesso dal mio ruggente stomaco non giungesse all'orecchio della mia compagnia di viaggio, ma mi sbagliavo evidentemente! Il suo immediato precipitarsi alla dispensa deve essere stato dettato dal riverbero riecheggiato nella stanzetta.
    Che vergogna!, penso nascondendo il viso tra le mani, quando una nuova protesta ingiunge inavvertitamente più forte della precedente. Instintivamente porto entrambe le braccia all'altezza della bocca dello stomaco sperando di soffocare i prossimi lamenti mentre il mio visetto candido inizia ad avvampare più per l'imbarazzo che per le temperature non eccessivamente elevate.
    Fortunatamente Ariel estrae dalla dispensa un paio di verdure e qualche tubero utili per preparare una zuppa. Si mette subito all'opera finendo per uscire fuori a raccogliere neve da scogliere in una vecchia pentola d'ottone al fuoco.
    Faccio per alzarmi non potendo sopportare di vederla in piena attività mentre io me ne sto seduta a far nulla, ma la ragazza - dire che è iperattiva è un eufemismo bello e buono - viene a sedersi ai miei piedi a pelare un paio di patate. Nell'attesa mi porge qualche galletta che accetto volentieri sbocconcellando per non apparire ingorda e maleducata.
    «Te ne prego, lascia che ti aiuti!» le dico d'un tratto cercando il suo sguardo. «Non ho mai sopportato rimanere con le mani in mano, nemmeno a Castello con tutti i servitori a mia disposizione», le confesso alzandomi in piedi diretta alla pentola per controllare se il ghiaccio fosse sciolto. Afferro un mestolo in legno e giro il contenuto nel recipiente restando di proposito accanto al fuoco per trarre maggiore sollievo da quel piacevole tepore.
    Intanto la dolce e vivace Ariel si è già messa in moto per la stanza a rovistare in cerca di una mappa che sostiene ci possa essere di grande aiuto per pianificare il nostro ritorno a casa.
    «Non credo ve ne siano», la informo mentre lascio cadere nella pentola una generosa pioggia di granelli di sale trovato vicino al fuoco in una scatola di cartone. «E' probabile che siano d'ausilio solo per scalatori ed escursionisti! Ma tentar non nuoce.»

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    Belle si offre di aiutarmi, e non faccio in tempo a dire "Flounder" che lei si è già alzata in piedi per avvicinarsi alla pentola. La neve all'interno si è sciolta e l'acqua ormai bolle, perciò comincio a gettare dentro gli ortaggi e le verdure che ho tagliato poco fa in modo che comincino a cuocere.

    Le lascio il controllo della zuppa mentre gironzolo per la grande stanza, cercando una mappa. Il locale è abbastanza spoglio e non ci sono molti luoghi in cui guardare. C'è una piccola cassapanca e trovo diverse coperte e un paio di cuscini, ma nulla di più.

    «Temo tu abbia ragione, Belle», le dico tornando vicino al fuoco. «Non c'è traccia di alcuna mappa qui, purtroppo».
    Speravo davvero di trovare una cartina che potesse darci qualche indicazione, adesso la situazione si fa più complicata di quanto già non sia.
    Mi avvio verso la dispensa e tiro fuori due scodelle e due cucchiai di legno, e anche noto un vecchio bollitore e delle foglie di tè in un barattolo. «Sembra che almeno potremo farci un bel tè caldo», dico, depositando il tutto vicino al camino dove sta cuocendo la nostra zuppa.

    Esco fuori per riempire il bollitore con la neve, e lo appendo vicino alla pentola. «Sai, credo che la zuppa sia pronta», dico a Belle, assaggiando un po' del brodo con uno dei cucchiai. «Mmmh niente male, per essere una zuppa d'emergenza!», dico, poi prendo il mestolo e verso la zuppa nelle scodelle, facendo cenno a Belle di accomodarsi e porgendole la sua porzione.
    «Sediamoci a mangiare, mentre aspettiamo che l'acqua per il tè arrivi a bollore. Nel frattempo, dovremmo pensare a cosa fare dopo, visto che siamo senza mappa», dico, accomodandomi a fianco della mia nuova amica.

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